L’Area Studi Mediobanca pubblica la prima edizione dell’indagine sul settore orafo-argentiero-gioielliero in Italia. L’indagine analizza i dati finanziari dei 97 maggiori player con un giro d’affari
superiore ai 19 milioni di euro ciascuno (di cui 42 hanno sede nelle regioni del Centro, 32 nel Nord
Est, 21 nel Nord Ovest e 2 nel Sud).

Il report contiene inoltre una nota congiunturale elaborata dal Centro Studi di Confindustria FEDERORAFI che approfondisce l’interscambio commerciale del comparto e le prime evidenze per il 2024 e 2025.

L’indagine completa è disponibile per il download sul sito www.areastudimediobanca.com.

Preconsuntivi 2024 e aspettative per il 2025

Nei primi 10 mesi 2024, i ricavi dell’industria dei preziosi risultano in rialzo del 5,8% (dati Istat), con
l’export più dinamico rispetto al mercato interno (+7,2% vs +3,0%). Trend parzialmente confermati da
parte della maggioranza dei produttori sulla base del questionario somministrato dal Centro Studi di
Confindustria FEDERORAFI: il 39,3% delle società rispondenti segnala ricavi preconsuntivi relativi al
2024 in peggioramento rispetto al 2023, il 32,8% indica valori in miglioramento, mentre il 27,9%
evidenzia un giro d’affari invariato.

Per quanto riguarda le aspettative per il 2025, il 47,5% delle società prospetta una stabilità del volume
d’affari rispetto al 2024, il 31,2% si attende un peggioramento, mentre la residua quota del 21,3% ha
un sentiment positivo.

Fonte: Report Mediobanca

Il ritorno alla normalità dopo il boom del 2022

Nel 2023 i 97 maggiori produttori di preziosi attivi in Italia hanno complessivamente fatturato €8,4mld
(in crescita del 3,9% sul 2022 e del 25,8% sui livelli del 2021), con l’impiego di quasi 16.300 dipendenti
(+16,3% sul 2021).

Nel 2023 il 36,5% dei loro ricavi è stato generato dai player con sede nel Nord Ovest, il 32,4% dalle
società del Nord Est, il 30,4% nel Centro e lo 0,7% nel Sud e Isole. Sebbene meno numerose, le imprese
con l’headquarter nel Nord Ovest svettano grazie alla loro più elevata dimensione media in termini
di ricavi, pari a 145,4mln, da confrontarsi con gli 84,6mln del Nord Est e con i 60,5mln del Centro Italia.

La rilevanza degli operatori a controllo estero appare evidente per dimensioni più che per numerosità (11 imprese): il valore medio dei loro ricavi nel 2023 (203mln) è triplo rispetto alle società a capitale italiano (71,3mln), per un giro d’affari aggregato di 2,2 miliardi, pari al 26,7% delle vendite
complessive.

Le società a proprietà estera crescono di più rispetto a quelle a controllo italiano, sia
sul 2022 (+15,5% vs +0,3%) che sul 2021 (+39,3% vs +21,5%), in virtù del miglior andamento delle vendite oltreconfine, aumentate a una velocità più che doppia (+42,7% tra il 2021 ed il 2023) rispetto alle
imprese a capitale italiano (+19,3%). Nel 2023 al primo posto per ricavi si colloca Bulgari Gioielli (870mln) che precede Morellato (739mln) e PGI (566mln). Seguono Damiani (334mln) e UnoAerre Industries (264mln). In totale sono dieci le società a superare i 150 milioni di ricavi.

Con l’acquisizione del gruppo tedesco Christ, Morellato ha quasi raddoppiato il fatturato rispetto al 2022, incrementando all’83,9% il peso del canale retail sul giro d’affari complessivo (rispetto al precedente 69,3%).

La redditività (ebit margin) degli operatori del settore orafo-argentiero-gioielliero è salita dal 6,3% del
2021 al 7,8% nel 2022, per poi migliorare ulteriormente all’8,5% nel 2023. Sotto il profilo territoriale le
aziende del Nord Ovest esprimono l’ebit margin più elevato (9,7% nel 2023, + 2,7 p.p. sul 2021),
seguite da quelle dell’Italia Centrale (8,4%, + 0,8 p.p.). Il podio per redditività vede primeggiare
Gimet Brass (40,8%), produttrice di componenti per bigiotteria, seguita dalla toscana Treemme
(30,1%) e da Coin Holding (29,9%).

I risultati netti realizzati dall’industria dei preziosi appaiono positivi e in tendenziale crescita. Nel
triennio esaminato l’aggregato ha contabilizzato utili per circa 1,2 miliardi, pari al 55% della
dotazione patrimoniale di fine 2021, con un’incidenza sul giro d’affari cresciuta dal 4,4% del 2021 al
5,2% del 2023, nonostante il lieve calo sul 2022 (-0,3 p.p.).

Gli investimenti nel 2023 sono aumentati del 59,4% sul 2021 e del 34,3% sul 2022. Per gli operatori a
proprietà estera la progressione dal 2021 (+147,1%) è stata molto più accentuata rispetto a quelli a
controllo italiano (+38,7%). Anche in base al rapporto tra investimenti e dotazioni iniziali di
immobilizzazioni materiali, le società più dinamiche sono quelle a controllo estero e quelle ubicate
nel Nord Ovest, mentre a livello dimensionale le aziende medio-grandi investono con un’intensità
doppia rispetto alle medie imprese (16% vs 8,5% nel 2023), con le piccole più attardate (6,1%).

Sul fronte patrimoniale, nel triennio 2021-2023 la solidità delle aziende del panel è in miglioramento:
la leva finanziaria è passata dall’84,9% del 2021 al 65,3% del 2023, grazie al più cospicuo incremento
del capitale netto rispetto a quello dei debiti finanziari (+42,3% vs +9,3%). A sua volta, la crescita dei
mezzi propri è alimentata dal cumulo dei risultati netti e dalla limitata propensione alla distribuzione
di dividendi che nel triennio hanno totalizzato 265mln (il 22% degli utili complessivi del periodo), con
le società che preferiscono reinvestire nel business gli utili realizzati.

Caratteristiche organizzative e principali punti di forza e debolezza del settore dei preziosi

L’industria orafa-argentiera-gioielliera è uno dei settori trainanti del Made in Italy che più ha
contribuito a sviluppare l’immagine del nostro Paese in tutto il mondo, grazie alle qualità artigianali
e all’originalità dei suoi prodotti. Secondo le rilevazioni Istat, a fine 2022 nel nostro Paese erano attive
quasi settemila società con organici complessivi di 31.146 unità, pari in media a 4,5 dipendenti per
azienda, con la netta prevalenza di micro e piccole imprese, spesso a carattere familiare.

Solo i maggiori operatori, spesso appartenenti a maison estere della moda, e i pochi top player
indipendenti dell’alto di gamma hanno le risorse finanziarie necessarie per strutturare un’adeguata
rete di vendita e sostenere le ingenti spese pubblicitarie che consentono di rivolgersi direttamente
al grande pubblico. Chi può contare su un network di proprietà (e/o in franchising) è in grado di
saltare, almeno in parte, i passaggi intermedi ed estrarre dal business il maggior valore aggiunto
altrimenti da condividere con grossisti, buyer internazionali e altri intermediari.

L’accorciamento della catena è favorito dalla crescita del canale digitale che ha sperimentato un
notevole boost durante la pandemia. Il rafforzamento dell’e-commerce è un fattore di resilienza e
uno tra i motivi che hanno spinto, ad esempio, Morellato a rilevare nel 2023 la tedesca Christ, uno
dei pochi casi di imprese italiane del comparto che hanno acquisito realtà oltreconfine.

Negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo crescendo della concorrenza settoriale. Non è raro
che grandi imprese della moda e dell’orologeria abbiano lanciato una propria linea di oreficeria,
attraverso partnership con primari operatori, ma anche con operazioni di M&a. L’affermarsi di nuove
geografie produttive ha acuito la competizione internazionale, con l’ascesa di numerosi Paesi che,
sfruttando il basso costo del lavoro e adottando talvolta politiche di imitazione, erodono il
posizionamento dell’Italia, soprattutto nelle linee unbranded e a minor valore aggiunto, ostacolando
gli sbocchi internazionali di un settore notoriamente export-oriented.

Cina e India sono il primo e il terzo esportatore mondiale di preziosi, detenendo insieme alla Svizzera
(secondo esportatore in qualità di hub e paese di transito dei prodotti orafi italiani e francesi) un
terzo circa dell’export complessivo. L’Italia è in quinta posizione, con una quota dell’8,7%.

Tra i fattori che hanno consentito al comparto di affrontare i rischi della globalizzazione, si annovera
la forte specializzazione territoriale e il ricorso all’innovazione tecnologica, con gli investimenti che
consentono di realizzare prodotti di qualità elevata, limitando in tal modo la concorrenza basata sul
prezzo. L’eccessiva frammentazione produttiva, unitamente ad altri fattori quali la lunghezza della
filiera distributiva e la dipendenza da materie prime preziose con quotazioni, spesso, molto variabili
nel tempo, sono invece i principali punti di debolezza.

Uno sguardo d’insieme: assetti proprietari e base produttiva

Il 77,1% del patrimonio netto dei maggiori produttori di preziosi è riferibile al controllo familiare;
considerando inoltre le due società controllate da fondi italiani di private equity, il patrimonio netto
in mani italiane sale al 78,4%. Il 21,6% è invece a controllo straniero.

Tra le 11 società a proprietà estera, cinque sono riferibili ad azionisti francesi, tra cui LVMH con tre controllate (Bulgari Gioielli, Vpa – Villa Pedemonte Atelier e B.M.C.), e la connazionale Kering (Pomellato). Due società (PGI e Buccellati Holding) fanno invece parte del colosso svizzero Richemont che, nel corso del 2024, ha esteso la propria presa sull’alta gioielleria italiana con l’acquisizione di Vhernier.

È trascurabile il rapporto diretto con i mercati finanziari. Solo la Fope è trattata all’AIM, mentre le
azioni di Damiani sono state collocate in Borsa nel novembre 2007, per essere poi revocate nel 2019.
Il grado di apertura dell’equity delle società del panel è quindi piuttosto limitato, anche se
recentemente si segnalano ulteriori ingressi: nel marzo 2024 la famiglia proprietaria ha ceduto il 24%
del capitale di Mattioli a un fondo estero.

La base produttiva delle aziende del comparto è in massima parte italiana: complessivamente sono
stati individuati dieci stabilimenti produttivi oltreconfine (quattro in Europa, tre in Asia, due nelle
Americhe e uno in Africa), mentre sono 94 le filiali commerciali e di servizi localizzate all’estero: 40,4%
in Europa (tra cui 11 in Francia, otto in Germania e sei in Spagna), 35,1% in Asia (tra cui nove in Cina
e otto a Hong Kong), 23,4% nelle Americhe (tra cui 18 negli Usa) e il rimanente 1,1% in Africa.

La quotazione delle principali materie prime

Le condizioni geopolitiche e macroeconomiche, particolarmente turbolenti nel periodo post
pandemico, hanno influenzato le quotazioni dell’oro, il bene rifugio per eccellenza, e delle altre
commodities utilizzate dal comparto. Tra il 2019 e il 2024 i prezzi dell’oro sono cresciuti a un tasso
medio annuo dell’11,4%
, aggiornando i picchi massimi dell’ultimo quinquennio nell’ottobre 2024,
toccando quota 2.690 US$/oncia rispetto ai 1.393 US$ medi del 2019.

Discorso analogo riguarda l’argento che è cresciuto a un Cagr dell’11,7% chiudendo a 30,4
US$/oncia nel dicembre 2024, mentre il platino, dopo aver raggiunto la quotazione media di 1.092
US$/oncia nel 2021, ha rintracciato fino a 936 US$ di fine 2024, segnando comunque nell’ultimo
quinquennio una crescita media annua positiva (+2,0%).

Le forti oscillazioni nelle valutazioni delle principali materie prime non solo ostacolano la corretta
pianificazione della fase produttiva, ma si riflettono sull’equilibrio finanziario del comparto, causando
l’incremento degli stock di magazzino (cresciuti, per le imprese del panel, del 25,8% nel triennio) e
dei crediti commerciali (+17,9% sul 2021), quest’ultimi a fronte delle maggiori dilazioni richieste dai
clienti sottoposti a crescenti impegni finanziari in virtù dell’aumento delle quotazioni auree.

Foto di Marta Branco: https://www.pexels.com/it-it/foto/anello-di-perla-bianca-sulla-superficie-blu-1395305/

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