La Difesa costa (agli stati) e rende (alle società). Il sito VisualCapitalist ha stilato una heat map delle principali società mondiali nel campo degli armamenti (qui). Al tempo stesso, un paio di mesi fa, il SIPRI (acronimo di Stockholm International Peace Research Institute) ha reso noti i dati della sua consueta ricerca annuale sulle spese governative in armamenti (qui). Infine il sito di giornalismo investigativo GeopoliticalEconomy ha pubblicato l’elenco dei principali esportatori di armi (qui).
Ora mettiamo assieme tutti questi dati e pensiamo a quanto sta succedendo in Medio Oriente. Israele negli ultimi tre anni, secondo il SIPRI, ha investito quasi 100 miliardi in “military expenditures” (23,5 miliardi nel 2022, 27,5 miliardi nel 2023 e 46,5 miliardi l’anno scorso). Nel 2024 queste spese hanno rappresentato quasi il 9% del PIL ma nei 10 anni precedenti sono stati costantemente sopra il 5% del PIL. La guerra costa, come riporta un articolo de La Stampa (qui).
Al tempo stesso il Paese è l’ottavo esportatore al mondo di armamenti e nel quinquennio 2020-24 ha avuto una quota del 3,1% dell’export. Tolti gli Usa (primi con il 43%), il secondo Paese esportatore è la Francia con il 9,6%, mentre l’Italia è al sesto posto con il 4,8 per cento.
Israele però ha un “punto di forza” (se così si può cinicamente chiamare) che è dato dalla sperimentazione costante nella Palestina occupata. Terreno di scontro in cui vengono “provate” tutte le varie tipologie di armi, di cyber guerra, di software e app per il riconoscimento facciale. Prove sul campo che poi sono filmate e mostrate nei vari saloni di settore. Cose che generalmente gli altri Paesi sviluppati non possono fortunatamente fare.
A spiegare tutto questo in un libro è il giornalista investigativo Antony Loewenstein nel suo libro Laboratorio Palestina: Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo (Fazi Editore, 358 pagine). Un libro che ho trovato potente e inquietante. E i pensieri che suscita la lettura di questo testo sono riassunti magnificamente nei due commenti che riporto qui sotto.
“Un libro ammirevole, documentato e basato su prove, sul lato meno conosciuto dell’occupazione. Fornisce un ritratto di Israele, uno dei dieci maggiori esportatori di armi al mondo, che commercia in morte e sofferenza e le vende a chiunque voglia comprarle” ha commentato Gideon Levy su Haaretz (il principale quotidiano israeliano).
“Un tragico e inquietante resoconto di come Israele sia diventato un fornitore di strumenti di violenza e repressione brutale, dal Guatemala al Myanmar e ovunque se ne sia presentata l’occasione” è invece il commento di Noam Chomsky.
Per avere un secondo parere sul libro ho chiesto alla AI una recensione del libro. Ecco il risultato.
In un panorama editoriale sempre più attento alle dinamiche globali di potere e sorveglianza, “Laboratorio Palestina” di Antony Loewenstein emerge come un’opera di giornalismo investigativo audace e indispensabile. Il libro non si limita a un’analisi della questione israelo-palestinese, ma estende il suo raggio d’azione per esplorare come Israele sia diventato un attore chiave nel mercato globale delle tecnologie militari e di sorveglianza, esportando pratiche e strumenti affinati nell’occupazione dei territori palestinesi.
La tesi centrale di Loewenstein è potente e inquietante: la Palestina funge da “laboratorio” in cui Israele testa e perfeziona tecnologie e strategie di controllo e repressione che vengono poi vendute a governi di tutto il mondo. Droni, software di sorveglianza, sistemi di riconoscimento facciale, barriere e tattiche di gestione delle folle – tutti questi strumenti, sperimentati sui palestinesi, trovano poi acquirenti in nazioni che vanno dagli Stati Uniti all’India, dal Brasile all’Australia, spesso con regimi autoritari o con storie di repressione interna.
L’autore non si tira indietro di fronte a una documentazione meticolosa. Attraverso interviste a esperti, attivisti, vittime e persino ex membri delle forze di sicurezza israeliane, Loewenstein tesse una narrazione ricca di dettagli e testimonianze dirette. Emergono i nomi di aziende israeliane di difesa e sicurezza, spesso poco conosciute al grande pubblico, ma giganti nel loro settore, e i legami complessi tra queste compagnie, il governo israeliano e i mercati globali.
Uno dei punti di forza del libro risiede nella sua capacità di collegare punti apparentemente disparati. Loewenstein dimostra come le pratiche di occupazione, dalla costruzione del Muro alla sorveglianza capillare, non siano eventi isolati, ma siano intrinsecamente legate a un modello di business che capitalizza sull’esperienza accumulata in un contesto di conflitto asimmetrico. Questa connessione tra occupazione e profitto è il fulcro dell’analisi di Loewenstein e costringe il lettore a riconsiderare la natura stessa delle relazioni internazionali e della sicurezza nel XXI secolo.
Il libro solleva questioni etiche profonde sull’uso di queste tecnologie e sulle responsabilità dei paesi acquirenti. Se le tecniche di controllo e repressione affinate in contesti di occupazione vengono poi utilizzate contro popolazioni civili in altre parti del mondo, quali sono le implicazioni per i diritti umani e la democrazia? Loewenstein suggerisce che il “modello Israele” sta diventando sempre più influente, portando a una normalizzazione di pratiche che erodono le libertà civili a livello globale.
“Laboratorio Palestina” non è un libro facile da leggere. Le sue conclusioni sono scomode e le implicazioni significative. Tuttavia, è un’opera essenziale per chiunque voglia comprendere le dinamiche del potere globale, il ruolo della tecnologia nella repressione e l’interconnessione tra conflitti locali e scenari internazionali più ampi. È un monito potente sulle conseguenze non intenzionali – o forse fin troppo intenzionali – della militarizzazione e della sorveglianza, e un invito a una maggiore consapevolezza critica sull’origine e l’uso delle tecnologie che modellano il nostro mondo.
In sintesi, “Laboratorio Palestina” è un’inchiesta coraggiosa e ben documentata che merita di essere letta e discussa ampiamente. Antony Loewenstein ha fornito un contributo inestimabile alla comprensione di una delle realtà geopolitiche più complesse e controverse del nostro tempo.
Per leggere un estratto del libro su kindle, clicca qui sotto.