Nato e Difesa, cosa sta succedendo? E qual è il caso Spagna? Il tema della Difesa rimane sempre sulla cresta dell’onda. Gli oltre 7 miliardi raccolti dagli strumenti del gestito da inizio anno potrebbero aumentare ora che la Nato ha approvato il tetto del 5% di spese in 10 anni.

Tom Bailey, Head of Research di HANetf, riassume qui i termini dell’accordo e quali prospettive scaturiscono: Nato e Difesa, cosa sta succedendo. Poi vedremo il caso Spagna.

“Durante il vertice della NATO, i membri dell’Alleanza hanno raggiunto un accordo per portare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035. Si tratta di un’importante revisione rispetto al 2% fissato nel 2014, che sancisce la fine dell’era del dividendo della pace post-Guerra Fredda e l’ingresso in una nuova fase di serietà strategica.

Il target è ripartito in due categorie: il 3,5% sarà destinato alla spesa convenzionale, dove si concentra la maggior parte dell’esposizione tradizionale al comparto e dove le attrezzature militari restano la voce chiave. Il restante 1,5% coprirà invece un ambito più ampio, che comprende la protezione delle infrastrutture e delle reti, la preparazione civile e la resilienza industriale. Un parametro che non va trascurato, in quanto rappresenta un chiaro riferimento alla crescente centralità della difesa informatica nella sicurezza nazionale.

Attualmente la NATO (Stati Uniti esclusi) destina circa il 32% dei bilanci militari alle attrezzature. Se l’Europa intende davvero tradurre i fondi in capacità operativa, è lecito aspettarsi che questa cifra aumenti ulteriormente. La Polonia, il Paese campione del riarmo europeo, ha speso più della metà del suo bilancio per la difesa in equipaggiamenti nel 2024. Se il resto del Continente vuole eguagliare la serietà di Varsavia – e rispettare i propri impegni di sicurezza – è probabile una convergenza verso questa cifra.

Del resto, poco prima del vertice, Trump aveva spaventato le capitali europee mettendo in discussione il suo impegno nei confronti dell’Articolo 5 sulla difesa collettiva. Nonostante le rassicurazioni – prima da parte dello stesso Tycoon, poi dal comunicato congiunto – sul rinnovato impegno collettivo, il timore di un possibile ridimensionamento dell’ombrello di sicurezza statunitense permane. In questo contesto, è lecito aspettarsi che i leader europei spingano per ricostruire capacità autonome e aumentare la produzione locale, riducendo progressivamente la dipendenza dagli Stati Uniti in materia di difesa”.

A poche ore dall’inizio del vertice dell’Aia, tenutosi lo scorso 24 e 25 giugno, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, hanno siglato un’intesa a parte. La flessibilità garantita alla Spagna potrebbe avere diverse conseguenze a medio‑lungo termine per l’Alleanza Atlantica; una tra tutte, l’erosione del principio di equivalenza negli sforzi tra gli Stati membri.

Tom Bailey la vede così. “Il tentativo della Spagna di aggirare l’obiettivo proposto del 5% di spesa per la difesa è un promemoria del fatto che, nonostante tutta la retorica, una parte dell’Europa non ha ancora compreso appieno l’entità della sfida alla sicurezza che si trova ad affrontare. Gli eventi recenti avrebbero dovuto dimostrare che la difesa non è una voce di spesa discrezionale e che l’Europa non può continuare a dipendere da potenze esterne per la propria protezione.

Detto ciò, l’argomento a favore degli investimenti nella difesa europea rimane convincente. Mentre alcuni Stati dell’Europa occidentale esitano, quelli dell’Europa settentrionale e orientale stanno procedendo rapidamente con aumenti significativi dei bilanci militari, degli acquisti di equipaggiamenti e del coordinamento industriale. È già in corso un riarmo a due velocità.

Lo scorso anno, i Paesi della NATO hanno aumentato collettivamente la spesa per la difesa del 16%, ma la Spagna si è fermata a un modesto 0,4%. In confronto, la Polonia ha aumentato la spesa del 31%, la Romania del 43%, la Svezia del 34%, la Repubblica Ceca del 32% e la Germania del 28%. È probabile che questa divergenza continui ad accentuarsi. Resta da vedere quanto a lungo sarà politicamente sostenibile il fatto che alcuni Paesi limitino il proprio contributo, mentre altri si assumono una quota sproporzionata dell’onere della difesa europea”.