Nella giornata del 29 aprile, la presidenza Trump ha celebrato i suoi primi 100 giorni dal suo insediamento. Come sono cambiate le prospettive di crescita degli Stati Uniti in questo arco temporale?
In questa dotta analisi, Tim Drayson, Head of Economics di L&G fornisce una risposta alla domanda, soprattutto in relazione alle politiche commerciali del tycoon, e presenta quello che sarà lo scenario più probabile per i prossimi mesi, sia nel caso in cui i dazi siano confermati/ripristinati, sia nel caso l’amministrazione Usa opti per delle relazioni più morbide.

Lo scorso 2 aprile, in quello che definì “Liberation Day”, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scioccato economisti e mercati annunciando dazi molto elevati basati sul deficit commerciale, disattendendo chi si aspettava un approccio più moderato per smentire l’idea che gli Usa adottano pratiche commerciali illegali. Ciò ha spinto gli analisti a rivedere notevolmente al ribasso le loro previsioni sull’economia americana, con tanti di loro che hanno parlato apertamente di probabile recessione.
È vero che una combinazione di fattori, tra cui pressioni da parte dei mercati, hanno spinto il tycoon a sospendere questo aumento delle tariffe per 90 giorni appena una settimana dopo, ma il 10% “universale”, così come altri dazi, sono rimasti in vigore e le imposte sull’import cinese sono ormai arrivate al 145%. Pertanto, questo ripensamento al massimo può aver evitato che si verificasse una crisi più seria, ma non ha scongiurato la possibilità di una recessione degli Stati Uniti.
Infatti, è importante ricordare non solo che il rincaro sulle merci cinesi ha raggiunto i livelli più alti di sempre, anche se dovrà essere considerevolmente ridotto se si vuole evitare un drastico calo delle importazioni da Pechino, ma anche che un periodo di negoziazione di 90 giorni contribuisce comunque a creare incertezza, visto che oggi è impossibile prevedere cosa verrà stabilito. Solo due fattori appaiono certi: che più tempo si impiegherà per raggiungere un accordo e più la volatilità peggiorerà e che il 10% menzionato prima sembra destinato a rimanere in vigore.
Tuttavia, se si analizza la situazione attuale con le informazioni in nostro possesso, appare evidente che gli Stati Uniti sono stati investiti da uno shock dell’offerta, aggravato da una politica commerciale che non potrebbe essere più incerta, che non solo rende anche l’immediato futuro molto nebuloso, ma fa rientrare nella lista dei possibili obiettivi dei dazi potenzialmente ogni nazione sulla faccia della Terra. Se a questo si aggiunge che non si può escludere l’applicazione di nuovi dazi nella prossime settimane, che a loro volta potrebbero portare a ritorsioni e a un’escalation della guerra commerciale, non possiamo non aspettarci un incremento dei feedback negativi, ripercussioni sul benessere della popolazione e un peggioramento generale delle condizioni finanziarie; tutti fattori che andranno a pesare sulla crescita degli Stati Uniti.
Alla luce di ciò, è probabile che gli investimenti delle imprese in ambiti riguardanti gli scambi con altri paesi o la creazione di nuove catene di approvvigionamento vengano sospesi, generando una generale sfiducia che andrà peggiorando in futuro e che sta già iniziando ad emergere dagli ultimi sondaggi. Infatti, sebbene non possiamo escludere che si tratti di una strategia e che le tariffe possano essere rimosse una volta raggiunto lo scopo che Trump si è prefissato, gli effetti più deleteri dei dazi si vedranno solamente quando saranno già stati in imposti da un po’. Pertanto, se la prossima estate non dovessimo osservare particolari segnali di deterioramento economico, sarebbe importante non tirare un sospiro di sollievo e pensare che il pericolo negli States sia scampato.
Va però detto che Trump ha mostrato una certa sensibilità di fronte a un mercato azionario e obbligazionario in difficoltà ed è probabile che osserverà attentamente ciò che dicono i sondaggi, che, se dovessero mostrarsi particolarmente ostili, potrebbero anche portare la sua politica su terreni meno accidentati. Ciò potrebbe dare vita, per fare un esempio, a uno scenario in cui i dazi su Messico e Canada non ci sono più e vengono intrattenuti rapporti meno ostili col resto del mondo, attraverso una riduzione generale dei livelli delle tariffe, aprendo la strada ad accordi bilaterali più equilibrati.
Inoltre, segnali di debolezza economica potrebbero anche giustificare un taglio delle tasse che vada oltre un rinnovo di quelli già concessi e che stanno per scadere. Tuttavia, riteniamo che un qualsiasi supporto in questa direzione avrà comunque risultati modesti. Per di più, dato che uno degli obiettivi di Trump è spingere il manifatturiero Usa, è molto probabile che un livello medio dei dazi tra il 15% e il 20% resterà in vigore fino a fine anno. Dall’altro lato, però, ciò può dare il via a delle ritorsioni, soprattutto nel breve periodo, che non proverranno solamente dai governi nazionali, ma perfino dai consumatori stessi, che potrebbero decidere di boicottare i prodotti e i brand americani. Questo scenario si basa anche sul sentimento fortemente anti-Usa che si è osservato in Canada, che ha portato il partito Liberale a colmare un distacco di 20 punti percentuale dai conservatori e a vincere le ultime elezioni, e sul turismo negli States che è crollato drasticamente.
Pertanto, qualunque sarà il risultato finale dei negoziati, dei danni sono già stati fatti, in termini di incertezza e volatilità, che resteranno alti molto a lungo anche se tutto dovesse risolversi per il meglio.
Foto di copertina elaborata con Copilot AI
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