Prevediamo che l’Europa continuerà a sovraperformare gli Stati Uniti, sostenuta dall’ampio piano di investimenti annunciato in Germania e dalle valutazioni compresse dei titoli azionari, particolarmente interessanti nello spazio italiano delle mid-small cap, anche grazie al lancio di nuove iniziative istituzionali. Tuttavia, per un rialzo più sostenuto dei mercati globali, sarà necessaria una maggiore chiarezza sulla questione dei dazi e un ritorno a condizioni monetarie più accomodanti da parte della Fed”. È la view di Andrea Scauri, gestore del fondo azionario Lemanik High Growth e vincitore del Morningstar Award 2025 per il miglior fondo categoria “Azionari Italia”.

Andrea Scauri, gestore del fondo azionario Lemanik High Growth

I mercati azionari globali hanno chiuso il mese di aprile sostanzialmente piatti, in un contesto di elevata volatilità. Il 2 aprile ha visto l’introduzione di dazi più severi del previsto: l’aliquota media dei dazi negli Stati Uniti è salita al 30%, equivalente a un aumento delle tasse (ex ante) di quasi 1 trilione di dollari, pari a circa il 3% del Pil – un evento senza precedenti nell’era del dopoguerra. Questa dinamica ha innalzato la probabilità di recessione degli Stati Uniti al 50% dal 10% previsto all’inizio dell’anno, con l’ulteriore rischio di stagflazione.

Successivamente, alcuni segnali di distensione commerciale – con l’annuncio di una pausa di 90 giorni sulle tariffe reciproche – hanno favorito un tentativo di stabilizzazione dei mercati, che procede in parallelo con la stagione dei bilanci, destinata a essere un test cruciale per il sentiment degli investitori. Attualmente sono già in vigore diversi dazi (che rappresentano entrate teoriche per gli Stati Uniti di circa 170 miliardi di dollari su base annua, tra i 18 e i 20 miliardi di dollari incassati ad aprile, raddoppiati rispetto all’anno scorso), e molti altri potrebbero essere introdotti nei prossimi mesi.

I negoziati sono iniziati, ma richiederanno tempo. Gli Stati Uniti non hanno fretta di ridurre drasticamente le tariffe e il “tasso base” del 10% rappresenta una soglia minima globale al di fuori dell’Usmca. I negoziati potrebbero portare a un allentamento delle tariffe reciproche quando torneranno in vigore a luglio.

Le reazioni dei vari paesi sono state diverse. La Cina (450 miliardi di dollari di esportazioni verso gli Usa) ha reagito in modo aggressivo contro i dazi, il Giappone (150 miliardi di dollari) e la Corea del Sud (130 miliardi di dollari) si sono affrettati ad avviare i negoziati, mentre l’Ue (606 miliardi di dollari) ha cercato il dialogo. Gli Stati Uniti stanno dando priorità ai colloqui con i paesi con persistenti deficit commerciali.

L’annuncio dei dazi porterà inevitabilmente a un rallentamento della spesa delle famiglie e di parte degli investimenti aziendali, e di conseguenza ci aspettiamo un paio di trimestri di risultati poco brillanti, soprattutto per i titoli ciclici.

Sebbene lo shock da incertezza sia significativo e probabilmente si riverserà gradualmente sull’economia reale, al momento ci sono ancora pochi segnali concreti che le tariffe stiano colpendo duramente l’attività economica. Gli indicatori “hard” sono rimasti relativamente solidi, mentre i “soft data” (indagini e sondaggi) mostrano crescenti segnali di indebolimento, soprattutto nel mercato del lavoro.

Tra gli aspetti positivi, va notato che la liquidità sui titoli di Stato statunitensi è tornata a livelli più vicini alla normalità. Il FMI ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita globale (a +2,8% dal +3,3% previsto a gennaio), evidenziando come i dazi rappresentino uno shock negativo sia per l’offerta che per la domanda. Per gli Stati Uniti, la stima del Pil è stata tagliata di 90 punti percentuali a +1,8% con previsioni di inflazione in aumento di quasi un punto percentuale a +3%, mentre per la Cina la stima del Pil 2025 è ora vista al 4% (dal 4,6%).

Negli Stati Uniti, dopo un -19% dai massimi, accompagnato da livelli di volatilità (VIX) simili a quelli della crisi del Covid e della crisi finanziaria del 2008, i principali indici hanno recuperato circa il 10% nelle ultime settimane. A livello geografico, da inizio mese gli indici statunitensi hanno registrato un -3/-5% rispetto al “giorno della Liberazione” del 2 aprile, mentre gli indici europei e italiani sono stati leggermente più resistenti (circa -1%).

Il dollaro si è fortemente indebolito, mentre l’oro rimane il principale beneficiario della fase attuale, registrando nuovi massimi grazie all’aumento dell’avversione al rischio. Il petrolio è sceso, scontando una maggiore probabilità di rallentamento economico.

Sul fronte dei tassi d’interesse, negli Stati Uniti il titolo decennale è rimasto sostanzialmente stabile al 4,2%, mentre le aspettative d’inflazione a 10 anni sono scese leggermente al 2,25% (di conseguenza i tassi reali sono saliti di 10 pb all’1,93%). In Europa, il Bund tedesco a 10 anni è sceso di 30 pb, al 2,45%, così come il rendimento del Btp italiano al 3,58%, con uno spread sostanzialmente stabile a 113 pb. La riduzione dei rendimenti è legata ai timori di un rallentamento del ciclo economico. Il mercato si aspetta quasi 4 tagli da parte della Fed entro la fine del 2025 (-100bps al 3,3%), mentre per la Bce le attese sono per poco più di due tagli di 65bps all’1,5%. Continuiamo a prevedere che la Bce taglierà i tassi di 25 pb sia nella riunione di giugno che in quella di luglio, portando il tasso di deposito all’1,75%.

Confermiamo la nostra visione moderatamente positiva sui mercati azionari, mantenendo un cuscinetto di liquidità per cogliere potenziali opportunità in caso di nuove correzioni. Il nostro scenario di base rimane quello di un’economia globale resiliente, in grado di evitare una recessione tecnica, nonostante il recente deterioramento delle aspettative di crescita dovuto ai cambiamenti politici negli Stati Unitii, con ttagli alla spesa pubblica e aumento delle tensioni commerciali. In questo contesto continuiamo a privilegiare i titoli azionari di qualità e difensivi sotto la superficie del mercato. Nel frattempo, il settore dei beni di consumo discrezionali rimane probabilmente quello che sottoperformerà nettamente il rischio tariffario, in linea con la nostra visione di lunga data. Si tratta del grosso del nostro portafoglio, rappresentato da titoli con una leva finanziaria molto bassa, bilanci sani e un forte posizionamento sul mercato di riferimento”. Spiega Scauri.

E conclude dicendo che: “In tempi in cui è difficile aggiungere rischio, è spesso dove il rischio deve essere aggiunto. La narrativa fiscale tedesca diventa ancora più importante rispetto a prima del sell-off, anche in una prospettiva azionaria globale. I titoli preferiti dell’anno in corso, meno esposti ai dazi, come i titoli della difesa o quelli legati alla Germania, offrono ora un punto di ingresso molto più interessante rispetto alle settimane precedenti. Infine, sottolineiamo la nostra non esposizione al settore petrolifero. La recente intenzione dell’OPEC+ di aumentare ulteriormente la produzione ha messo a rischio la remunerazione delle compagnie petrolifere integrate e gli investimenti delle società di servizi petroliferi”.

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