Nel mondo intero assistiamo alla corsa per contrastare i dannosi effetti dei dazi statunitensi. La necessità aguzza l’ingegno come dice il famoso proverbio e non è detto che tutto il male venga per nuocere, come leggiamo in questa dotta analisi sul Giappone.

Jean-François Chambon, manager of Japanese and Asian Equity di Ofi Invest AM ci spiega che sebbene il Giappone possa essere pesantemente colpito dai dazi di Donald Trump, soprattutto dal punto di vista dell’energia e dell’automotive, potrebbe mettersi al riparo spingendo maggiormente il turismo, il tech e l’AI.

Jean-François Chambon, manager of Japanese and Asian Equity di Ofi Invest AM

Introduzione

Da quando Donald Trump ha avviato la sua politica commerciale aggressiva, imponendo e spesso ritirando successivamente dazi su tutti partner commerciali degli Stati Uniti, l’attenzione si è spesso concentrata sulle contromisure che avrebbe preso la Cina. Tuttavia, in Asia c’è un’altra economia che è strettamente legata a quella americana, ovvero quella giapponese.

Secondo i dati forniti dal Census Bureau, nonostante si sia ridotto nel corso degli anni a causa di una maggiore produzione sul suolo Usa, il Giappone nel 2024 vantava comunque un surplus commerciale con Washington di 68,4 miliardi di dollari.

Pertanto, sebbene l’imposizione di tariffe al 24% sia probabilmente solo un modo per preparare il terreno delle contrattazioni, le autorità nipponiche hanno compreso che sfidare Trump può essere pericoloso ed è meglio concentrarsi sugli investimenti delle imprese negli Usa e sul fabbisogno di risorse naturali del paese (in particolare di gas), che potrebbero essere acquistate proprio oltre oceano.

Questo spiega anche perché l’LNG e le sue forniture sono state argomento di discussione tra Giappone e Stati Uniti in tempi recenti, essendo questi il loro quarto maggiore fornitore, con esportazioni pari all’8%-10% del fabbisogno, per un valore di 44 miliardi di USD. Se questa percentuale dovesse aumentare al 25%, il surplus menzionato all’inizio si azzererebbe.

Colpire le case automobilistiche attraverso i dazi sul Messico

È noto che molte case automobilistiche giapponesi hanno attività produttive negli Stati Uniti, ma in pochi pensano che abbiano impianti anche in Canada e in Messico e dopo che questi due paesi sono stati colpiti dai dazi, queste aziende sono state colpite molto duramente. Ciò è vero soprattutto nel caso di quelle più piccole, come Nissan e Honda, che producono in Messico circa 200mila veicoli e ne esportano negli States attorno all’80%.

Tuttavia, se i dazi dovessero essere confermati, una società come Ford subirebbe ripercussioni più gravi di Honda e anche di General Motors, dato che in Messico produce 890mila veicoli e ne esporta il 75%. Pertanto, per quanto riguarda l’automotive, è difficile prevedere che piega prenderanno i negoziati, visto che sarebbero le aziende americane a rimetterci di più, anche alla luce del fatto che Toyota Motors, ovvero la casa automobilistica più grande del Giappone, che in America ha aperto 10 impianti e creato circa 170mila posti di lavoro, sarebbe molto meno colpita.

Lo stato dell’arte della deflazione giapponese

Il Giappone è un paese in cui la deflazione è stata una condizione durata decenni, con i consumatori locali che si sono abituati a posticipare i loro acquisti nella consapevolezza che i prezzi sarebbero scesi. È vero che l’anno scorso l’inflazione ha raggiunto picchi del 4% e oggi si attesta al 2%, che è l’obiettivo della Bank of Japan (Boj), ma questo non basta a garantire che i consumi riprenderanno, dato che un aumento dei prezzi deve essere seguito anche da un aumento degli stipendi.

Oggi, però, sembra che entrambe queste componenti siano presenti e che si stia innescando un circolo virtuoso per il consumo, il quale rappresenta il 50% del Pil locale. Basta pensare che le ultime negoziazioni hanno prodotto un aumento dei salari del 5,1%; il più alto degli ultimi 30 anni.

In generale, come sta performando l’economia del Sol Levante?

Normalmente, il tasso di crescita del Giappone è inferiore all’1% annuo ed essendo un’economia fortemente basata sulle esportazioni, molto dipende anche dal benessere dei suoi partner commerciali.

Tuttavia, negli ultimi anni si sta iniziando a osservare un’inversione di tendenza, con nuovi settori che si stanno sviluppando, in particolare il tech e il turismo.

Nel 2024 sono stati quasi 37 milioni i turisti che hanno visitato il Giappone, dopo che l’ex premier Shinzo Abe dette forte impulso a questo segmento negli anni del suo mandato, con il governo attuale che punta a raggiungere 60 milioni nel 2030. Ciò rappresenterebbe una notevole spinta per i consumi interni, in particolare in ambito food, accoglienza e retail, ma anche all’inflazione.

Dall’altro lato, il Giappone è anche la nazione con la più alta percentuale di anziani e l’età media dei suoi cittadini sta aumentando costantemente. Sebbene ciò sia fonte di preoccupazione per le autorità locali, può anche essere vista come un’opportunità, soprattutto in aree come la robotica e lo sviluppo di software per l’AI. Non a caso, il Giappone è già oggi il maggiore produttore di robot industriali al mondo.

Negli ultimi mesi del 2024, il governo ha anche deciso di lanciare un piano da 65 miliardi di dollari per supportare il comparto dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale, con lo scopo di generare più investimenti, sia pubblici sia privati, nei prossimi 10 anni e di rendere il Giappone un player di rilievo.

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