Il settore automotive è al centro delle attenzioni di analisti e investitori per vari motivi. In primo luogo è tra i più importanti del comparto manifatturiero europeo e “muove” quindi una quota importante dell’economia dell’Eurozona. In secondo luogo è coinvolto pesantemente nella transizione green, con l’obbligo di passare all’elettrico nei prossimi 12 anni (la scadenza è per ora al 2035), con tutte le conseguenze e gli impatti del caso. Infine non va sottovalutata la concorrenza delle case auto cinesi, tenendo conto che Pechino è anche il principale produttore di batterie elettriche.

Un intricato puzzle in cui non è facile muoversi: a provare a mettere le caselle al proprio posto ci pensano gli esperti di Planisfer Investments SGR, nell’intervento che riportiamo qui sotto.

Il settore automotive attraversa una fase di forte evoluzione e discontinuità.

Se da un lato è indubbio che la domanda di automobili sia destinata a permanere – anche se potrebbe assumere una diversa forma – le prospettive dei principali player, in particolare europei, appaiono incerte alla luce delle grandi sfide che stanno affrontando:

Transizione elettrica

La transizione verso la produzione e commercializzazione esclusivamente di auto elettriche è fissata al 2035, anno in cui potranno essere immatricolate le ultime vetture alimentate a benzina o diesel nei Paesi dell’UE, come stabilito lo scorso maggio dal Consiglio dell’energia dell’Unione Europea.

La transizione è destinata a trasformare profondamente il settore automotive, creando nuovi vincitori e vinti.

Gli ingenti investimenti necessari a realizzarla sono stati e continueranno ad essere un fattore critico: a titolo di esempio, la sola Volkswagen ha investito su questo fronte 50 miliardi di euro a partire dal 2018.

In questo scenario in forte evoluzione, i player tradizionali dovranno dimostrare di avere la capacità di “cambiare pelle” in un settore sempre più concentrato sul software piuttosto che sull’hardware. Si tratta di una sfida complessa e dall’esito non scontato che ricorda quella di inizio millennio che ha interessato la telefonia e che vide Nokia cedere rapidamente la posizione di leadership assoluta a player di nuova generazione come Apple.

Competizione cinese

Nel settore delle auto elettriche in Cina si è affermato rapidamente un nuovo player nazionale, BYD.  Si tratta di un caso emblematico, più unico che raro, di un’azienda capace di trasformarsi e affermarsi in pochi anni in un settore ad alta intensità di capitale e con grandi barriere all’ingresso come quello automobilistico.

Nata nel 1995 come produttore di batterie, BYD è infatti entrata nel mercato delle auto elettriche nel 2005 e in soli cinque anni è diventato il brand di riferimento in questo segmento in Cina.

Nel terzo trimestre del 2023 ha venduto 432.000 auto elettriche – poco meno delle 435.000 di Tesla – superando Volkswagen e prevede di arrivare a 3,6 milioni di veicoli quest’anno, collocandosi tra le prime 10 case automobilistiche a livello mondiale per unità vendute. Le vendite saranno in prospettiva trainate anche dalla crescente esportazione su mercati esteri: la fase di export è iniziata solo lo scorso anno, ma la società stima di poter raddoppiare le vendite già nel 2024, forte di prezzi pari a oltre la metà di quelli delle vetture europee, pur in presenza di performance e qualità del prodotto sempre più simili.

Alle sfide descritte si somma un ulteriore fattore di complessità.

Dal 2020 i colli di bottiglia nelle forniture, conseguenti alla pandemia, hanno ristretto l’offerta di veicoli disponibili e i player del settore hanno concentrato le vendite sulle auto a maggiore marginalità. La capacità di esercitare sul mercato un forte “pricing power” ha garantito agli operatori un elevato cash flow e l’ottima tenuta delle posizioni finanziarie. Tale fase è tuttavia in progressiva moderazione alla luce della normalizzazione delle forniture e della flessione della domanda connessa all’aumento dei costi dei finanziamenti finalizzati all’acquisto di auto e al possibile rallentamento economico del prossimo anno.

Alla luce dei fattori descritti, l’automotive è un settore a cui guardare oggi?

In Plenisfer riteniamo di sì.

Se difficilmente i nodi decritti verranno al pettine nel breve termine, la domanda da porsi oggi è quale evoluzione subirà il settore nel medio e lungo periodo, ovvero a 5 e 10 anni.

Da investitori, in Plenisfer guardiamo ad ogni settore e singola opportunità, analizzandone le specifiche dinamiche e il contesto macro, attuale e prospettico, in cui queste si realizzano. Attraverso questo approccio, una volta identificata un’opportunità – anche “contrarian” – ne esaminiamo l’intera struttura del capitale per valutare lo strumento più adatto a coglierla pienamente.

Guardando all’automotive con la lente dell’equity, oggi ci sono, a nostro avviso, incognite eccessive che rendono impossibile determinare quale potrebbe essere il “valore terminale” di un’azienda del settore, pur essendo ad oggi i multipli molto contenuti. Questo rende l’investimento nel segmento azionario a nostro avviso troppo imprevedibile.

L’indice rappresentativo del settore, SXAP, evidenzia, infatti, dal 2016 ad oggi una significativa sottoperformance del 28% rispetto all’indice MSCI World e di oltre il 70% rispetto all’indice S&P 500. L’anno dell’avvio del declino non è casuale: nel 2016 si verificò il “dieselgate”, lo scandalo sulla falsificazione delle emissioni delle vetture Volkswagen, che portò alla regolamentazione delle emissioni Co2 e all’obbligo di dimezzarle entro il 2021.

Dall’analisi della struttura di capitale dei principali player emergono, invece, possibili opportunità sul fronte obbligazionario.

Pochissimi titoli a reddito fisso nel settore OEM (Original Equipment Manufacturer) offrono spread interessanti, ma possiamo trovare valore scendendo lungo la struttura del capitale, ovvero verso strumenti di debito più subordinati, di emittenti con solidi fondamentali nell’orizzonte temporale dell’investimento.

D’altro canto, il settore dei fornitori di ricambi per auto presenta nel complesso prezzi interessanti che riflettono le incertezze connesse a uno scenario in forte discontinuità e soggetto a shock, endogeni ed esogeni, non quantificabili. In questo contesto, l’analisi dei fondamentali è più cruciale che mai.

La domanda chiave e fondamentale da porsi sul fronte obbligazionario è se l’emittente sarà in grado di far fronte ai propri obblighi di rimborso.

In Plenisfer riteniamo che per gli OEM vi siano rischi limitati riguardo a questa capacità, grazie non solo agli attuali solidi fondamentali degli operatori, ma anche alla disponibilità di asset potenzialmente valorizzabili se necessario.

Tuttavia, al momento preferiamo i titoli a breve e medio termine sui quali abbiamo una migliore visibilità e riteniamo sia necessario incrementare la cautela all’aumentare della duration.