Ospitiamo oggi sul sito una delle rarissime analisi sulla biodiversità, uno dei temi afferenti al cambiamento climatico che purtroppo passa quasi sempre in secondo piano rispetto ad altri. L’analisi è a cura di Victoria Leggett, Equity fund manager e Head of Impact Investing di Union Bancaire Privée (UBP).

Victoria Leggett – Fonte: UBP

Si è conclusa (a dicembre 2022) la tanto attesa seconda parte della COP 15 (la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità), che ha portato all’adozione di alcuni impegni importanti, ma senza grande clamore.

Infatti, il summit ha trovato minore eco sui media rispetto alla COP 27 (l’equivalente sui cambiamenti climatici), nessun leader mondiale è intervenuto e la partecipazione del mondo dell’imprenditoria è stata piuttosto scarsa.

È indubbio che stiamo affrontando una doppia emergenza planetaria, con i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità indissolubilmente correlati. Sembra tuttavia che il mondo riservi alla crisi della biodiversità un’attenzione molto inferiore rispetto a quella per le emissioni di gas serra.

Il motivo è forse da ricercare nel fatto che la perdita di biodiversità è più difficile da misurare ed è più eterogenea. Oppure i servizi forniti dalla natura sono ancora dati per scontati, quindi per molti è difficile giudicare l’impatto sul mondo reale al di là della scomparsa delle specie.

È proprio su queste premesse che l’esito della COP 15 è ancora più importante. La principale conquista è l’obiettivo «30 x 30» nel Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal.

Sito del Ministero dell’Ambiente con le informazioni sul GBF

«Il Quadro Globale per la Biodiversità (Global Biodiversity Framework, GBF) ha superato le aspettative per il semplice fatto di essere stato approvato e, impegnandosi a preservare il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030, stabilisce una direzione di marcia verso la trasformazione economica necessaria per raggiungere questo target: da un modello economico estrattivo a un futuro circolare e rigenerativo.»
Grant Rudgley, capo finanza correlata alla natura presso il Cambridge Institute for Sustainability Leadership

L’altro chiaro cambiamento dalla bozza di accordo alla versione finale è la maggiore enfasi posta sui diritti e i territori degli indigeni. Questo aspetto è presente in quasi tutte le declinazioni del GBF e veicola il messaggio che i popoli indigeni sono stati i migliori amministratori della terra e che il loro approccio dovrebbe essere seguito per riuscire a conservare le risorse.

È ovvio che il finanziamento degli obiettivi è stato oggetto di un acceso dibattito e sono stati raggiunti significativi risultati al riguardo, con accordi sulla riduzione degli incentivi dannosi e sull’aumento dei finanziamenti pubblici e privati dei Paesi ad alto reddito, pari a circa 30 miliardi di dollari l’anno da destinare ai Paesi in via di sviluppo.

Colin Porteous, CIO della Peace Parks Foundation, una ONG che gestisce e ripristina oltre 10 milioni di ettari di aree di conservazione transfrontaliere nell’Africa subsahariana (e anche membro del Comitato di UBP per la biodiversità), ha accolto con particolare soddisfazione i successi ottenuti negli obiettivi di finanziamento.

«La riduzione di 500 miliardi di dollari l’anno degli incentivi dannosi prevista dall’obiettivo 18 (con il corrispettivo incremento degli incentivi positivi) e l’aumento di 200 miliardi di dollari l’anno di nuove risorse finanziarie per attuare le strategie nazionali per la biodiversità secondo l’obiettivo 19 significano che il mondo può aspettarsi investimenti massicci nella conservazione delle nostre risorse naturali condivise.

Con 25 anni di esperienza di conservazione in Africa, durante i quali ha lavorato fianco a fianco con governi, comunità locali e stakeholder del territorio, la Peace Parks Foundation è consapevole delle sfide che il mondo dovrà affrontare per trasformare gli obiettivi della COP 15 in risultati concreti.

La Peace Parks Foundation opera per la conservazione su larga scala e il Quadro Globale per la Biodiversità traccia il cammino da percorrere. Siamo desiderosi di rafforzare le relazioni esistenti e di forgiarne di nuove per dare il nostro contributo al ripristino dell’integrità, della connettività e della resilienza degli ecosistemi.»

Il più importante per la comunità finanziaria e il mondo delle imprese è l’obiettivo 15, che prevede l’obbligo di disclosure aziendale sui rischi, gli impatti e le dipendenze dalla natura. Questo elemento è particolarmente rilevante per il team Impact di UBP, in quanto firmataria della campagna «Make it mandatory» di Business For Nature.

Per quanto la formulazione sia stata un po’ diluita, è stato convenuto che tutte le grandi imprese e le istituzioni finanziarie devono accertare e divulgare questi impatti e rischi. È importante sottolineare che le catene di approvvigionamento sono state esplicitamente indicate e ciò costituisce un notevole supporto per il lavoro della Taskforce on Nature-related Financial Disclosures (TNFD) nel 2023.

«L’obiettivo 15, in particolare, potrebbe essere una potente leva di trasformazione in quanto aiuta le comunità economiche e finanziarie ad acquisire la consapevolezza dei rischi, delle dipendenze e degli impatti correlati alla natura lungo le catene di approvvigionamento.
Ciò contribuirà a rendere le decisioni e gli investimenti rispettosi della natura la scelta più ovvia, portando alla luce la realtà futura: potrà prosperare solo chi ha accesso alla resilienza, alle risorse e agli altri benefici che la natura offre.»
Grant Rudgley, capo finanza correlata alla natura presso il Cambridge Institute for Sustainability Leadership

Nonostante alcuni importanti risultati raggiunti, l’accordo finale è ben lungi dall’essere perfetto, in quanto mancano obiettivi quantitativi e non giuridicamente vincolanti. Inoltre, sono pochi gli obiettivi riguardanti la natura raggiunti dai diversi Paesi, con un fallimento quasi totale di quelli di Aichi (il precursore del GBF). Ma questa volta, se vogliamo concederci un po’ di ottimismo, la differenza è che il mondo delle imprese e il settore pubblico stanno iniziando a rendersi conto del contributo della natura al PIL. Cominciano a capire che non potremo raggiungere i nostri obiettivi climatici senza risolvere la crisi della biodiversità.

Ma soprattutto, il 2022 ci ha posti di fronte a sfide climatiche e geopolitiche senza precedenti, con ripercussioni sulla sicurezza idrica, alimentare ed energetica. Il ripristino della natura svolge un ruolo fondamentale per la resilienza delle comunità e la stabilità a lungo termine dei governi, e il Quadro Globale per la Biodiversità rappresenta una roadmap pratica per raggiungere l’obiettivo. 

Mike Maunder, Executive Director della Cambridge Conservation Initiative (CCI) e membro del Comitato per la biodiversità di UBP, non ha dubbi sulle opportunità che il GBF offre e sull’urgenza della sua attuazione: «Il GBF non è una novità che serve alle esigenze di una lobby verde, bensì rappresenta la nostra migliore possibilità di garantire un futuro praticabile alla società e alle imprese. Le sfide per il mondo delle imprese e della finanza sono chiare: non si tratta di una nuova categoria di costi da accettare a denti stretti, ma piuttosto di garantire la continuità aziendale in un mondo pericolosamente instabile. Ricostruire la natura mobilitando capitali pubblici e privati ci consentirà di proteggere e ripristinare aree vitali (inclusi i sistemi agricoli), assicurare le catene di fornitura, garantire cibo e acqua e ridurre la nostra crescente vulnerabilità di fronte alle minacce del collasso climatico e dei disordini civili. Molti degli strumenti per realizzare questo nuovo futuro esistono o sono in fase di sviluppo, ma non possiamo adagiarci: il tempo stringe.»

Foto di copertina by Saad Alaiyadhi: https://www.pexels.com/it-it/foto/mare-natura-pesce-ambiente-10141408/; foto nell’articolo di Breston Kenya: https://www.pexels.com/it-it/foto/in-piedi-arido-cespugli-arbusti-7152709/