C’è una connessione molto forte tra smart working e settore immobiliare. Pandemia e lockdown sono stati infatti il volano per rendere attuale anche in Italia lo smart working. Un fenomeno che è servito a rendere evidente come una parte dell’economia dei servizi possa proseguire e prosperare anche lavorando da remoto e che a sua volta ha dato avvio alla cosiddetta “stay at home economy”. Una tematica molto trassversale, che si rifà ai megatrend tecnologici.

“Durante il lockdown avvenuto nella primavera del 2020, il 25% degli impiegati in Francia lavorava da casa full-time, mentre prima solo il 3% svolgeva tale attività, tra l’altro solo come parte di uno schema di telelavoro parziale – ricordano Pierre Schoeffler, Senior Advisor, La Française Group, e Philippe Depoux, Presidente di La Française Real Estate Managers – Il mondo degli affari ha improvvisamente realizzato la portata della trasformazione in atto quando l’Ufficio Statistico Francese INSEE ha stimato che il 40% dei lavori in Francia poteva essere svolto, almeno parzialmente, lavorando da remoto”.

Più in generale, secondo Adecco, il 12% degli impieghi in Europa a metà 2021 faceva riferimento al telelavoro parziale, in contrasto col 3% dell’anno precedente.

Il consolidamento dello smart working ha però impattato pesantemente anche sul comparto immobiliare. Lato residenze con la riscoperta dei centri di piccola e media dimensione purché cablati (o comunque ben serviti via internet) a scapito delle grandi città e lato uffici con una nuova concezione degli interni (quindi spazi più piccoli, prevalenza di sale riunioni, ecc.).

Il gruppo immobiliare francese La Française ha analizzato il settore degli uffici in Francia, ma l’analisi può essere probabilmente trasposta in maniera simile anche in altri Paesi europei.

“Il telelavoro va di pari passo con “meno” posti di lavoro da ufficio. Nella regione dell’Île-de-France, la più grande in Europa con circa 50 milioni di mq di spazio occupato, nelle sedi aziendali a fine 2020 lavoravano 2,5 milioni di persone. Se il 40% dei lavori venisse effettivamente svolto da remoto, come immaginato da INSEE, e considerando che due giorni di telelavoro diventeranno la norma per questi impieghi, il numero di posti di lavoro in ufficio diminuirà di circa 400mila unità. Se la superficie per un lavoro di ufficio è di 20 mq, comporterebbe la sparizione, in termini di domanda, di circa 8 milioni di mq”.

Lo spostamento forzato verso la digitalizzazione delle abitudini lavorative e di consumo sta cambiando strutturalmente l’equilibrio esistente tra diversi settori dell’immobiliare.

Uffici, alloggi, logistica e commercio, senza contare l’impatto sulla relazione tra le diverse aree, città, zone suburbane, paesi di medie dimensioni e aree rurali – elencano dal gruppo francese – Si rende dunque necessario effettuare una valutazione trasversale tra i segmenti e i luoghi piuttosto che una valutazione verticale per segmento.

Altri settori immobiliari commerciali in Francia hanno affrontato cambiamenti significativi negli ultimi vent’anni: una diminuzione di aree per gli edifici industriali, un forte aumento di magazzini, una trasformazione delle aree commerciali e delle strutture ricettive, un emergere di nuovi segmenti di investimento immobiliare come i data center. Un cambiamento che comporta in egual misura sfide e opportunità.

La trasformazione in atto favorirà la nascita di edifici che combinano l’esperienza dell’utente, la flessibilità e la versatilità d’uso, la capacità di sviluppare servizi e di svolgere un ruolo inclusivo nella città, offrire valore ai suoi occupanti e fornire efficienza energetica.

Inoltre, il telelavoro è anche un modo per mitigare il cambiamento climatico e un mezzo per adattarcisi.

Di Massimiliano Malandra

Co-founder di questo sito. Analista fondamentale e quantitativo, socio Aiaf e giornalista professionista dal 2002. Esperto di approccio risk parity. Autore di vari libri.