Il mensile Quattroruote ha pubblicato di recente (qui) un riassunto generale sullo stato dell’arte delle case automobilistiche europee davanti alla transizione all’elettrico. L’abbandono definitivo all’endotermico dovrebbe avvenire nel 2035, ma le prossime elezioni europee potrebbero portare – si spera – a un ripensamento della normativa.

Chi invece ha imboccato con decisione la strada dell’elettrico è la Cina che, tra ricerca avanzata e sostegni governativi, sta procedendo a elettrificare il proprio parco auto. Raheel Altaf, gestore di Artemis Funds (Lux) – SmartGARP Global Emerging Markets Equity, fa il punto della situazione.

Giappone e Cina, analogie e differenze

Negli anni Settanta le auto giapponesi cominciarono a penetrare nei mercati europei e in quello statunitense, mettendo in crisi il settore automobilistico occidentale. Oggi la Cina spera di fare la stessa cosa, grazie al ruolo di leadership del settore che si è ritagliata a livello mondiale. L’anno scorso un’auto elettrica su cinque vendute in Europa era cinese. 

L’industria automobilistica è un utile prisma per gli investitori attraverso il quale osservare la Cina e altri mercati emergenti. Con il profluvio di dati negativi di matrice occidentale sui suoi problemi economici, è facile perdere di vista i progressi realizzati negli ultimi decenni dalla Cina, che nel frattempo è diventata la seconda economia mondiale. 

Il reddito medio annuo dei cinesi è passato negli ultimi 20 anni da appena 1500 a 12.850 dollari. Cosa non avrebbe dato una nazione occidentale per vedere il proprio reddito decuplicato in tale, relativamente breve, lasso di tempo. 

Di conseguenza, la Cina ora fa molto meno affidamento sugli Stati Uniti in particolare, e sull’Occidente in generale, nell’ambito del commercio internazionale, visto che ha sviluppato un mercato dei consumi interni ricco e in buona salute. Ciò ha consentito al Paese di sganciarsi dagli USA, rendendo le sue azioni, unitamente a quelle di altri paesi asiatici, una presenza potenzialmente preziosa in un portafoglio globale diversificato. 

Vero è che alcuni investitori potrebbero essere frenati da valutazioni legate ai criteri ESG, nella consapevolezza, per esempio, che la Cina è di gran lunga la maggiore responsabile di emissioni di gas serra. D’altro canto c’è da dire, però, che sotto certi aspetti la Cina è anche leder nei campi delle energie rinnovabili e delle tecnologie verdi.

Per quanto riguarda i veicoli elettrici (EV) in particolare, alla fine dello scorso anno la cinese BYD ha visto le sue vendite di EV superare quelle di Tesla, producendo tre milioni di automobili nel solo 2023. BYD ha cominciato a produrre veicoli elettrici nel 2003, lo stesso anno in cui Tesla avviò la sua produzione. Ora la società ha sedi in tutto il mondo e le sue fabbriche sono così avanzate che l’unico compito degli esseri umani è quello di riparare robot.

Altre società cinesi si sono gettate nella mischia, fra le quali spiccano Dongfeng, Nio, XPeng e SAIC, con il risultato che ora la Cina esporta più automobili di paesi quali USA, Giappone e Germania.

Nel frattempo, la sud-coreana Kia si è creata una reputazione di operatore di primo piano in Europa e si è prefissa di raggiungere livelli di vendite simili a quelli di BYD entro il 2030. La società corrisponde dividendi molto interessanti – per un rendimento pari a circa il 5,8% nel 2023 –  e sta acquistando azioni proprie nel mercato per sottolineare la fiducia del management nelle prospettive future dell’azienda. 

 Proprio perché queste società stanno compiendo progressi in Europa gli investitori dovrebbero rivedere il loro approccio ai mercati emergenti.

Il portafoglio

 Tradizionalmente, gli investitori hanno impiegato i propri capitali nei paesi emergenti tramite imprese occidentali, con società come BMW, Unilever, Diageo e Louis Vuitton che hanno conquistato notevoli quote di mercato negli ultimi anni. Oggi però vale la pena prendere in considerazione l’opportunità di investire in marchi locali che stanno cominciando a farsi strada qui, in Europa, o in società che stanno aiutando questi marchi operando a monte della catena del valore. 

 Il nostro portafoglio contiene partecipazioni in Kia, nella società sud-coreana di pneumatici Hankook e nel produttore taiwanese di semiconduttori TSMC (un veicolo elettrico può contenere un numero di semiconduttori pari a due o tre volte quello di un veicolo tradizionale). Abbiamo partecipazioni nella cinese Jiangsu Pacific Quartz, che produce materiali utilizzati nei semiconduttori, e nella sud-coreana Novatek, specializzata in schermi LCD. 

 Ognuna di queste aziende può svolgere un ruolo nella rivoluzione elettrica che i mercati emergenti stanno mettendo in atto. Consideriamo beneficiari indiretti anche aziende come il produttore di minerali di ferro Kumba, la società di assicurazioni PICC e il produttore di componenti elettronici Hon Hai.

Nuove opportunità

Più in generale, sarebbe utile per gli investitori cercare di identificare altre società dei mercati emergenti che, dopo essersi affermate nel mercato nazionale, si sono lanciate alla conquista di nuovi mercati.  

 Nel mercato degli smartphone ci sono molti nuovi operatori che vendono prodotti più economici ma che comunque non sfigurano troppo nei confronti dei marchi più conosciuti. Fra questi ci sono Huawei, Vivo, Oppo e Xiaomi. Io sono forse uno dei tanti genitori che comprano prodotti di queste società per i loro figli perché costano veramente poco.  Comunque, nei loro mercati nazionali questi produttori hanno fatto crollare le vendite di iPhone al punto da aver praticamente espulso Samsung dal mercato cinese.

 Attualmente i mercati emergenti sono il campo in cui si fanno le ossa i giganti globali di domani. Ciò dovrebbe convincere gli investitori che si sono sempre tenuti alla larga da questi mercati a riconoscere che ci sono opportunità che possono generare ottimi rendimenti per i loro investimenti.