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Oggi ospitiamo la lunga e dettagliata analisi di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund di LEMANIK ASSET MANAGEMENT, società lussemburghese per la gestione del risparmio, con sedi a Lussemburgo, Dublino, Milano e Hong Kong, che ci spiega come si faccia sempre più concreto il rischio di una recessione accompagnata da una Balance Sheet Recession e perché le banche centrali sono il problema e non la soluzione, avendo portato avanti troppo a lungo politiche dannose.

Maurizio Novelli – Fonte: Lemanik AM

L’azione della Bank of Japan

La Bank of Japan si aggiunge alla lista delle banche centrali che cedono dinnanzi alle pressioni del mercato. Modificando il range di controllo della curva dei tassi apre a potenziali rischi di cedimento delle politiche monetarie che sono state in questi anni alla base dello Yen debole e del dollaro forte.

Con l’inflazione quasi al 4%, la politica monetaria dei tassi a zero sullo Yen – che è stata la principale fonte di flussi di capitale per alimentare il leverage americano – sta volgendo al termine. Anche la Bank of Japan ha perduto credibilità dopo aver dichiarato per mesi che questo non sarebbe potuto accadere. I policymakers si trovano ora nella scomoda situazione di dover rassicurare i mercati con dichiarazioni sempre meno credibili: se parli non sei credibile ma se taci tutti si chiedono perché non parli, la crisi delle banche centrali si accentua e i rischi di sistema aumentano di pari passo.

Le conseguenze del Quantitative Easing

Il 99% degli operatori finanziari non ha capito nel dettaglio le conseguenze del quantitative easing nel lungo periodo. Quando una banca centrale stampa moneta crea di fatto nuovo debito. Infatti la moneta stampata serve a finanziare nuovo debito pubblico e debito privato (MBS e Corporate Bonds) a tassi sempre più bassi.

Il nuovo debito a basso costo alimenta nel tempo investimenti su attività a redditività marginale decrescente. È infatti sufficiente che tali attività abbiano una remunerazione minima superiore al costo del debito per generare un profitto. Con il passare del tempo gli investimenti a redditività decrescente si accumulano nel sistema. La dimensione di tali investimenti è direttamente proporzionale alla durata del QE (che nel nostro caso è durato 15 anni).

Il costo del debito pari a zero abbassa il Break Even Point a cui il sistema fa riferimento per la decisione sugli investimenti. Questo vale sia per gli asset finanziari che per gli investimenti reali. Qualsiasi cosa che abbia un rendimento superiore al costo dell’indebitamento diventa economicamente valida.

Il sistema si imbarca in investimenti a remunerazione sempre più bassa utilizzando leva finanziaria (Private Equity, Real Estate, Asset finanziari e investimenti fissi). Nel momento in cui un evento esterno impone una modifica del costo del debito, il sistema si trova esposto al rischio di aver accumulato uno stock di investimenti (finanziari e reali) che non sono più remunerativi come prima, o peggio, passano in perdita a fronte di un costo superiore del debito che li sostiene.

La Balance Sheet Recession

Questo è il meccanismo che innesca la Balance Sheet Recession, cioè la necessità da parte del sistema di liquidare gli asset detenuti a debito non più remunerativi. Ma maggiore è la dimensione raggiunta da tali asset (non solo finanziari) nel sistema, maggiore è la difficoltà di trovare qualcuno che li possa acquistare.

Anche se i prezzi scendono, i compratori non hanno risorse sufficienti per assorbire una dimensione molto grande di asset da liquidare sia di tipo finanziario che reale. Il Giappone ha sperimentato tale meccanismo trent’anni fa e le regole con cui si innesca e con cui finisce non sono cambiate.

In sostanza il QE abbassa il Break Even Point del sistema economico e finanziario e induce gli operatori economici e finanziari a imbarcarsi in investimenti a basso reddito e ad alto rischio, finanziati dal debito a basso costo. Quando modifichi il costo del denaro modifichi il Break Even Point dell’intero sistema, sia finanziario che economico.

Se poi il Break Even Point si sposta al rialzo anche per uno shock energetico che spinge al rialzo l’intera struttura dei costi di sistema, ecco che l’intera infrastruttura creata dal QE è destinata a sgretolarsi. Perché tutto questo accada non è necessaria una recessione, è anzi l’innalzamento del Break Even Point di sistema che innesca una recessione e non viceversa. Come ormai da tempo scrivo e dico, le banche centrali sono il problema e non la soluzione, avendo implementato politiche da sciagurati che non era necessario portare avanti per così lungo periodo. Il limite di tali politiche è che quando le cominci poi non hai più il coraggio di fermarle per non far scendere le borse e perdere il “consenso” dei mercati.

Recessione e inattendibilità delle previsioni

Quindi, si fa sempre più concreto lo scenario che il tanto atteso calo dell’inflazione sarà procurato da una recessione e una Balance Sheet Recession. Mentre si dibatte sulla durata e sulla profondità di tale probabile recessione, appare alquanto difficile fare previsioni in tal senso, dato che tutto quello che viene elaborato dalle banche d’investimento o dal Fmi su tale ipotesi, si basa su modelli econometrici che non tengono conto di cosa può accadere alle variabili finanziarie.

Se poi mettiamo in conto che la dimensione degli asset illiquidi non monitorati da alcun modello è pari al 45% del Pil Usa, si può facilmente capire quanto siano approssimative e inattendibili tali previsioni. Quindi, per essere concreti, nessuno sa esattamente cosa potrà accadere veramente al ciclo macroeconomico in caso di problemi finanziari provocati da una recessione.

Per rendersi conto di questo, basta guardare alle previsioni di consenso elaborate dal Fmi prima delle crisi del 2001 e del 2008. Tutte previsioni ottimistiche, salvo che l’impatto sull’economia provocato dal disordine finanziario è stato devastante. Dopo oltre trent’anni passati a studiare economia applicata ai mercati finanziari, mi sia concesso il beneficio del dubbio su quello che si tende a far credere.

Narrazione e costruzione del consenso popolare

Occorre infatti tenere ben presente che l’industria finanziaria ha tra i suoi obiettivi prevalenti la “costruzione del consenso” che, nella maggior parte dei casi, riflette il mondo che vorremmo avere e non quello che in realtà abbiamo. Quello che abbiamo dipende prevalentemente dalle politiche che implementiamo e che spesso procurano conseguenze spiacevoli che vengono tenute nascoste fino alla fine. D’altronde, il concetto di negazione della realtà è descritto da Freud come una “forma di difesa del mio equilibrio interiore” (Freud, La negazione – 1925), e appare del tutto normale che il sistema applichi alla lettera tale principio, esattamente come tendono a fare gli individui.

I mercati finanziari costituiscono un esempio di “difesa del mio equilibrio interiore” di tipo collettivo, cercando di ritardare il più possibile ogni riconoscimento di eventuali cambiamenti di contesto che possono turbare gli animi.

Cercando di essere il più possibile realisti, posso cercare di prevedere quello che accadrà in base a quello che vedo, anche se il vero concetto di rischio, nel mondo della finanza come nella vita quotidiana, dipende spesso da ciò che non vedo. È proprio nei rischi non monitorati, o ignorati a volte volontariamente, che si nascondono gli eventi negativi.

Questo è quello che è sistematicamente accaduto in tutte le crisi economiche e finanziarie della storia. Il consenso tende a concentrare le proprie attenzioni su quello che tutti sanno già, costruendo un contesto psicologico di sicurezza che le cose siano effettivamente così. La cosa più importante è che la maggioranza ci creda. Nel momento in cui la fiducia nella narrazione cede, si innesca il cedimento del consenso. In questo momento, appare sempre più evidente che tutti sono molto concentrati nel formulare previsioni che possano essere conformi alle posizioni detenute dagli investitori, al fine di generare “la forma di difesa del mio equilibrio interiore”, ovvero «dimmi solo quello che voglio sentirmi dire».                

Lo scenario secondo l’Autore         

Per quanto mi riguarda, pur dovendo tener conto di tale “costruzione del consenso”, mi devo invece sbilanciare in previsioni di scenario molto diverse da quelle narrate finora:

1)      La dimensione dei rischi finanziari non monitorati nel sistema non è mai stata così elevata nella storia. Tali rischi sono sparsi nel sistema attraverso il canale dei Private Markets che hanno raggiunto la dimensione di 9 trilioni di dollari, pari al 45% del Pil Usa a fine 2022. La maggior parte di tali asset è detenuta dallo Shadow Banking System che non è sottoposto ad alcuna sorveglianza significativa da parte dei regulators;

2)      Tali asset sono totalmente illiquidi (si veda il recente caso di blocco dei riscatti dei fondi Blackstone per un importo complessivo di 120 mld di dollari) e possono produrre effetti di contagio sugli asset più liquidi se si manifestano esigenze di liquidità da parte di chi li detiene (si veda il caso dei Fondi Pensione UK);

3)      Una eventuale recessione, provocata da politiche mirate a frenare l’inflazione, potrebbe accentuare i problemi recentemente emersi in tali segmenti del mercato finanziario. Poiché durante una recessione il principale problema è sempre connesso alle esigenze di liquidità di coloro che hanno investito in strumenti illiquidi, l’allocazione di ingenti investimenti su tali asset può accentuare un eventuale credit crunch di sistema, esattamente come nel 2008;

4)      Gli investimenti illiquidi sono privi di un reale prezzo di mercato e rendono difficile l’utilizzo di tali asset come collaterale da fornire a eventuali prestatori di ultima istanza. La Fed dovrebbe chiedere al Congresso l’autorizzazione ad acquistare partecipazioni in Private Equity, Private Credit e Real Estate Funds a valori difficilmente verificabili;

5)      L’attuale struttura del mercato finanziario mi fa pensare che ci sono elevate probabilità di Balance Sheet Recession. Ossia, esigenze di deleverage da parte di intermediari ed investitori che possono impiegare tempi molto lunghi per essere realizzate, sia per la dimensione accumulata che per l’illiquidità evidente di tali posizioni;

6)      Una probabile recessione potrebbe anche essere “poco profonda” come si tende a far credere. La manipolazione di mercato e dei dati può essere un meccanismo per attenuare il panico. In questi ultimi mesi i dati sul Pil Usa, sull’occupazione e sul paniere dell’inflazione rilevata fanno storcere il naso a chi li sa leggere. Ma quello che può essere un vero problema, è un eventuale scenario di stagnazione, abbastanza compatibile con una situazione di Balance Sheet Recession. In questo caso si delinea uno scenario “giapponese” per le economie occidentali, indipendentemente da quello che la Fed farà sui tassi d’interesse.

Previsione e Outlook 2023

Premesso questo, penso che l’Outlook per il 2023 potrebbe essere caratterizzato da questi eventi:

1)      L’economia Usa subirà un significativo rallentamento dei consumi, provocato da un rialzo generalizzato dei costi di finanziamento del credito al consumo (Mutui, Carte di Credito, Auto Loans e Student Loans) e per una perdita di potere d’acquisto a causa dell’inflazione. I consumi interni sono pari al 75% del Pil Usa e al 19% del Pil mondiale. Il 20% di tali consumi dipende dal debito;

2)      L’economia, a causa di un cedimento dei consumi interni, entrerà in recessione o, nel migliore dei casi, in un contesto di crescita molto modesto e non sufficiente per sostenere il debito accumulato;

3)      I profitti attesi delle società quotate sono destinati a significative revisioni negative. Le borse saranno dunque chiuse in una morsa di tassi più alti, crescita zero e profitti in calo;

4)      I tassi d’interesse Usa sono vicini a un probabile picco intorno al 4,75%, ma rimarranno comunque su tali livelli e non scenderanno, salvo l’ingresso in recessione o evidenti rischi finanziari. Eventuali interventi di politica monetaria avranno solo un effetto temporaneo. Il moltiplicatore della moneta e del credito è in costante contrazione anche con la massa monetaria a livelli ancora giganteschi. Si veda lo stock di Reverse Repo e l’eccesso di riserve delle banche presso la Fed;

5)      L’area Euro sarà in recessione o avrà crescita zero con inflazione più resistente perché dipendente dai prezzi energetici;

6)      La Cina rimane esposta a problemi di deleverage nel settore immobiliare e a una congiuntura esterna non favorevole per l’export a causa del rallentamento mondiale;

7)      L’intera economia mondiale rischia quindi di perdere i due motori di crescita, ovvero consumi Usa e forte crescita in Cina;

8)      Le continue politiche fiscali espansive implementate dal governo Usa (si veda il recente budget di stimolo da 1,7 trilioni di USD, pari al 7,7% del PIL) complicano la strategia della Fed di frenare l’inflazione.


Di seguito le principali previsioni 2023 per le Asset Class.

–        SPX: 3900 è un area di vendita con target 3000/2500;

–        US Treasury 10y: Tassi a lunga in fase di inversione della curva con picco a 3,75% – 4%. Tassi a breve ancora in rialzo di max 0,50%. Il cedimento del ciclo e rischi di recessione fermeranno la Fed ma un eventuale ribasso dei tassi non sarà imminente, salvo l’avvio di una crisi sistemica;

–        Dollaro Usa: in evidente area di Top contro tutte le divise. Target 1,20 vs Euro nel corso del 2023. La Bank of Japan ha recentemente definito il limite al rialzo del dollaro modificando il corridoio della curva dei tassi. Ulteriori pressioni al rialzo sui tassi giapponesi sono possibili;

–        Oro in rialzo sopra 2000 per l’avvicinarsi del picco dei tassi in Usa. Eventuali rischi di stagnazione economica, tassi reali globali sempre negativi e top di dollaro, saranno elementi di supporto per i metalli preziosi nel 2023 e oltre;

–        Mercati obbligazionari mondiali in fase di bottom per rischi di recessione o forte rallentamento dell’economia. Eventuali eventi di risk off saranno di supporto a flussi di “fly to quality” a supporto dei bonds governativi, anche se i tassi reali rimarranno negativi;

–        In scenario di stagnazione dell’economia occidentale gli emergenti sarebbero l’asset class vincente nel 2023, mentre in caso di scenario recessivo potrebbero subire ancora pressioni al ribasso.

In economia qualsiasi cosa che ti dicono che è gratis nasconde sempre un costo. L’esperimento monetario di creare ricchezza dal “nulla” stampando moneta si sta dimostrando fallimentare e nonostante la fiducia riposta dai mercati in tali politiche, non ci sono mai stati dubbi sul risultato finale. 

Foto di copertina: Foto di Michał Ludwiczak: https://www.pexels.com/it-it/foto/fotografia-di-bridge-durante-la-notte-1239162/


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