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Come i nostri lettori e le nostre lettrici ben sanno, il Dragone cinese sta attraversando una difficile e complessa e dolorosa fase di ristrutturazione sia dell’economia sia della società. Era inevitabile dopo decenni di crescita con l’acceleratore a tavoletta e lo sviluppo vorticoso di una gigantesca nuova classe media sempre più ricca e disposta a spendere, a investire e a speculare in Borsa e nel settore immobiliare.

Quello che la Cina sta attraversando oggi non è qualcosa di nuovo. La Storia ci insegna che tutte le economie in crescita seguono lo stesso percorso. Quali sono le lezioni che gli investitori possono trarre da simili episodi del passato, ce lo spiega questo interessante contributo di Norman Villamin, Group Chief Strategist di Union Bancaire Privée (UBP).

Norman Villamin – Fonte: Union Bancaire Privée

Molti attribuiscono la letargica ripresa economica della Cina dopo la pandemia alla scarsa fiducia dei consumatori e all’assenza del tipo di sostegno governativo che ha caratterizzato l’era del Covid negli Stati Uniti e in Europa. Una spiegazione migliore, a nostro avviso, è che la Cina si trova nel bel mezzo di una ristrutturazione economica post-bolla, non dissimile da quelle osservate in Giappone dopo il 1989, in Asia dopo il 1997, negli Stati Uniti dopo la crisi del 2007-08 e in Europa all’indomani della crisi del debito del 2011.

Sebbene la Cina abbia fatto alcune scelte iniziali che sono incoraggianti, è probabile che in futuro il Paese debba affrontare alcuni impegnativi compromessi politici.

Forse la scelta politica più importante che attende Pechino sarà l’impegno stesso a ristrutturare e riformare. Infatti, sebbene la Cina abbia annunciato una svolta politica già nel 2011, in due diverse occasioni da allora la minaccia di default destabilizzanti nell’ immobiliare ha portato a un ritorno alla tradizionale risposta di politica fiscale/monetaria, fornendo di fatto sostegno al settore in crisi.

Mentre gli appelli a varare pacchetti di stimolo su larga scala sono stati persistenti di fronte al crescente stress economico, la Cina sembra ora cercare, come dovrebbe, di smaltire seriamente gli eccessi del settore immobiliare, suggerendo che è in corso uno sforzo per evitare gli errori del Giappone su questo fronte, che prolungarono la sua ristrutturazione post-bolla.

Allo stesso tempo, l’importanza che la leadership cinese attribuisce alla stabilità politica interna evidenzia il delicato gioco di equilibri che dovrà compiere per evitare l’instabilità che si verificò dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997.

Invece, mostrando segni di impegno nella ristrutturazione del patrimonio immobiliare, la leadership cinese potrebbe perseguire una soluzione di tipo europeo, che riduca la crescita per ottenere un’instabilità sociale solo moderata.

Sulla scorta dell’esperienza europea, la Cina dovrà probabilmente invertire i tassi reali positivi e allentare la politica in modo più deciso, come fece il presidente della Banca centrale europea (BCE) Mario Draghi dichiarando che la BCE avrebbe fatto “tutto il necessario” per preservare l’euro.

Un compromesso che la Cina potrebbe dover affrontare come baluardo contro l’instabilità interna potrebbe essere una valuta più debole. Con un conto capitale chiuso, la Cina potrebbe cercare di mantenere stabile il proprio tasso di cambio. Tuttavia, gli insegnamenti del Giappone dei primi anni ’90 mettono in guardia da una simile strategia: dopo la bolla, il Giappone ha visto la sua valuta rafforzarsi di quasi il 40% rispetto al dollaro USA, aumentando la pressione sull’economia interna e prolungando il primo “decennio perduto”.

Tuttavia, la Cina deve affrontare un’altra sfida: un panorama geopolitico globale in rapido mutamento. A livello di titoli, le esportazioni cinesi verso l’economia Usa hanno perso quote di mercato a favore dei rivali da quando le tensioni tra Stati Uniti e Cina sono scoppiate con le guerre commerciali di Trump nel 2018-19 e si sono ulteriormente intensificate sotto l’amministrazione Biden dal 2021.

Con una politica valutaria e commerciale potenzialmente meno in grado di funzionare come motore della crescita durante questa fase di riforma economica, sospettiamo che deficit sostenuti come quelli visti dal 2011 siano necessari per mitigare i potenziali costi sociali del processo, nonché per stimolare nuove industrie che potrebbero contribuire ad attutire l’impatto economico della ristrutturazione nel settore immobiliare.

Al di là di questo, tuttavia, e a differenza del Giappone degli anni ’90, la Cina ha a disposizione investimenti che possono essere impiegati non solo per contribuire a stimolare la crescita, ma, cosa più importante, per aumentare la produttività economica nel lungo termine e contribuire a mitigare alcuni degli ostacoli demografici che la sua economia deve affrontare.

Se guardiamo alla Cina attraverso la lente di un’economia post-bolla a partire dal 12° Piano quinquennale (2011-15), il mercato azionario cinese mostra caratteristiche simili a quelle di altre economie post-bolla, avendo realizzato solo un rendimento annuo composto del 3,1% dal 2011 ad oggi. In questa fase di ristrutturazione, gli investitori possono cercare di posizionarsi all’interno del Paese in due modi.

In primo luogo, come asset ciclico globale: beneficiando delle esportazioni e della propensione al rischio quando il ciclo globale riaccelera per guidare la crescita economica complessiva. Poiché si intravedono i primi segnali di tale ripresa, per gli investitori azionari che hanno sofferto per i ribassi dell’anno, nei prossimi mesi potrebbe presentarsi un’opportunità ciclica che aiuterà a recuperare parte delle perdite del 2023. Tuttavia, gli investitori devono prestare attenzione a non prolungare troppo la loro permanenza nel mercato cinese.

In alternativa, gli investitori focalizzati sulla Cina possono guardare ai segmenti dell’economia che rimangono in espansione – concentrandosi sulla selezione dei titoli piuttosto che sulle tendenze macro – per ottenere una sovraperformance a lungo termine e, ottimisticamente, rendimenti assoluti.

All’interno della Cina, gli investitori possono guardare ai settori dell’economia che possono beneficiare dei venti favorevoli dell’attuale 14° Piano quinquennale (2012-25), che si concentra sulla riduzione della dipendenza della Cina dalle componenti importate di tecnologia straniera. Allo stesso tempo, si spera che ciò aumenti il potenziale di esportazione del Paese attraverso esportazioni industriali e di tecnologia ad alto valore aggiunto.

I veicoli elettrici sono un buon esempio di questo approccio. La Cina è il più grande mercato mondiale per i veicoli elettrici e ne venderà 6,8 milioni solo nel 2022. Nella prima metà del 2023, la Cina ha anche superato il Giappone come maggior esportatore di veicoli al mondo, con 2,34 milioni di auto esportate. Certo, le potenziali restrizioni europee sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi rappresentano un potenziale ostacolo per gli EV cinesi.

Inoltre, la Cina sta investendo molto per ridurre la sua dipendenza dai semiconduttori importati, al fine di alimentare la crescita nei settori legati all’intelligenza artificiale (AI) e ad altri servizi di dati.

Infine, per garantire che i servizi di welfare di base possano coprire adeguatamente le esigenze di una popolazione cinese in rapido invecchiamento, il governo potrebbe dover prendere in considerazione la possibilità di promuovere lo sviluppo di servizi assicurativi nazionali.


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