Pubblichiamo una nuova e stimolante analisi della situazione del sistema bancario americano a cura di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund. In sintesi, Novelli ci spiega che le grandi banche non sono in grado di sostituirsi alla crisi delle banche regionali data la dimensione del credito erogato da queste ultime; e che il vero processo di inversione del ciclo inflazionistico sarà prodotto da un netto calo degli aggregati creditizi e dal calo conseguente della domanda interna, che porterà l’economia in recessione entro pochi mesi.

Fonte: Lemanik AM

Introduzione

I dati recentemente pubblicati sul Pil del primo trimestre di Stati Uniti ed Europa confermano lo scenario di lento ma inesorabile scivolamento in recessione. Occorre considerare che l’economia ha finora subito il rialzo dei tassi da parte delle banche centrali ma l’impatto di queste politiche inizierà a sentirsi solo ora. A questo punto però occorre considerare che, oltre alle recenti politiche restrittive ufficialmente implementate, si aggiungerà una netta contrazione del credito a causa della crisi delle banche regionali Usa che, come già evidenziato nell’ultima nota mensile, forniscono più o meno il 50% del credito all’economia.

Nonostante gli interventi di salvataggio implementati, risulta abbastanza evidente che le grandi banche non sono in grado di sostituirsi alla crisi delle banche regionali, data la dimensione del credito erogato da quest’ultime al settore del Real Estate e Commercial Real Estate in grande difficoltà. Quindi è abbastanza probabile che da questo momento la prosecuzione della politica restrittiva sull’economia passerà dalla Fed al sistema bancario.

Anche se la Fed si trova abbastanza vicino al “picco dei tassi”, gli effetti restrittivi esercitati da un sistema bancario in evidente difficoltà produrranno una ulteriore stretta sul credito che sarà molto più rapida e invasiva di quella finora implementata con gradualità dalla banca centrale. Il problema è che la contrazione del credito attraverso il canale bancario arriva proprio mentre i mercati hanno iniziato già a scontare il picco dei tassi.

L’economia sarà dunque sottoposta ad un’ulteriore pressione di restrizione creditizia generata dal fatto che il sistema bancario Usa non è più nella condizione di espandere i bilanci, a causa di problemi sulle posizioni in titoli, per un’eccessiva esposizione di rischio al Commercial Real Estate e per un deterioramento generale dell’intero settore del Real Estate, Private Equity, Venture Capital e Leverage Loans, che costituiscono un’altra linea di business in difficoltà.

Mortgage Backed Securities

Tra il primo trimestre del 2020 e il primo trimestre del 2021 il mercato immobiliare Usa ha originato 5 trilioni di nuovi MBS (Mortgage Backed Securities, titoli garantiti da ipoteche su immobili) con un coupon medio del 2%. Questo importo costituisce il 40% dell’intero mercato dei MBS ed è stato emesso in soli in 12 mesi! Tanto per dare un’idea della nuova bolla immobiliare e di come le banche l’hanno finanziata, si tenga presente che nel 2008 la Fed ha ritirato dalle banche 600 mld di dollari di MBS per ripulire i bilanci e salvare il sistema.

Ora il problema ha una dimensione decisamente maggiore e questi MBS in pancia alle banche, se fossero valutati al mark to market con tassi di mercato al 7% circa, genererebbero perdite talmente importanti sui bilanci bancari che obbligherebbero gli istituti al congelamento di tali posizioni nel cosiddetto “portafoglio immobilizzato”, dove tutto viene valutato al prezzo di carico per non far emergere le perdite.

I crediti verso il Commercial Real Estate

A queste posizioni si aggiungono i crediti verso il Commercial Real Estate (altri 5 trilioni di dollari), dove i CMBS originati a tassi del 2%-3%, quotano ora a tassi del 7% e oltre. La recente pubblicazione dei profitti trimestrali delle banche non evidenzia in alcun modo tali perdite latenti dato che al momento tutto è valutato al prezzo di carico. Si stima che al momento, le perdite su tali posizioni valutate al mark to market sarebbero pari a 1 trilione di dollari per MBS e CMBS, a cui si dovrebbe aggiungere 1 trilione di dollari di perdite sul portafoglio Treasuries.

Queste perdite, se contabilizzate, andrebbero ad azzerare l’intero equity capital del settore bancario Usa. Tutto questo si riferisce solo alla parte del bilancio esposta verso il settore immobiliare (MBS e CMBS) e al portafoglio titoli, ma se dovesse concretizzarsi uno scenario di recessione, occorrerebbe capire cosa accadrebbe al portafoglio crediti.

È evidente che un sistema bancario incastrato su queste posizioni difficilmente potrà tornare ad espandere il bilancio; quindi, si profila all’orizzonte un credit crunch all’economia proprio nel momento in cui i recenti rialzi dei tassi hanno iniziato a produrre un impatto restrittivo. Per questo motivo credo che ora la politica monetaria sarà fatta più dal sistema bancario che dalla Banca centrale, accentuando la restrizione del credito all’economia con un effetto pro-ciclico negativo.

Le aspettative di un “Fed Pivot” appaiono quindi abbastanza secondarie, alla luce del fatto che, quando accadrà, l’economia sarà già in recessione, i crediti nei bilanci delle banche in deterioramento e il mercato del Real Estate in ulteriore pressione, facendo emergere quindi altri elementi di stress per il sistema bancario. La conferma di queste dinamiche sta iniziando a emergere in modo evidente nel comparto del Commercial Real Estate, che ha portato già al fallimento di alcune grandi banche regionali.

Il processo di inversione

Credo che il vero processo di inversione del ciclo inflazionistico sarà prodotto da un netto calo degli aggregati creditizi e dal calo conseguente della domanda interna, che porterà l’economia in recessione entro pochi mesi. Un ulteriore elemento di preoccupazione è la contrazione in territorio negativo di M2 per la prima volta nella storia dell’economia americana.

Credo che questo fenomeno sia da collegare al meccanismo di “liquidity transformation” che viene compromesso dall’eccesso di posizioni illiquide presenti nel sistema. Infatti, alla base del meccanismo di trasformazione della liquidità, c’è il problema del collaterale che gli intermediari del credito possono mettere a garanzia per accedere ad eventuali finanziamenti da parte della Banca Centrale o per lo scambio di liquidità sul mercato interbancario.

Attualmente gli strumenti liquidi utilizzati come “general collateral” sono i Treasuries e i MBS garantiti dal Tesoro. In alcuni casi si tendono ad accettare come collaterale tra le parti anche Corporates Bonds e CMBS a fronte di operazioni di scambio di liquidità a breve termine. Il fatto che il sistema sia ora infarcito da posizioni illiquide attraverso investimenti in Private Equity, Leverage Loans, Venture Capital, Private Credit e Fondi di Real Estate (9 trilioni di USD), rende l’intera impalcatura del sistema finanziario molto più esposta a rischi di crisi di liquidità. Infatti tali strumenti, non vendibili facilmente, non vengono accettati come collaterale a fronte di richieste temporanee di liquidità.

Il meccanismo di “liquidity transformation” viene quindi compromesso, esattamente come nel 2008, quando nessuno accettava i MBS come collateral e le banche non riuscivano a venderli per la crisi immobiliare. Per risolvere il problema il sistema finanziario americano ha di fatto “nazionalizzato” l’intero settore immobiliare, emettendo una garanzia governativa sui MBS per trasformarli in “general collateral”.

Trasformare gli investimenti in Private Markets come collateral è però decisamente molto più difficile. Già oggi i crediti al Commercial Real Estate sono in un mercato completamente congelato alle cartolarizzazioni e anche questo fenomeno contribuisce alla crisi di liquidità del settore e, in parte, alla perdita di trazione del meccanismo di “liquidity transformation”.

Conclusioni

L’unica economia sviluppata che ha subìto un meccanismo simile è stata quella giapponese alla metà degli anni ‘90. Questo fenomeno non fa che confermare il mio scenario di Balance Sheet Recession di cui parlo da tempo. A questo punto, l’intero dibattito sul Fed Pivot diventa del tutto secondario, anche se Wall Street continuerà a cercare di fare in modo che gli operatori del day trading rimangano focalizzati su tale questione, per distogliere l’attenzione su altri problemi di vitale importanza per motivi che non sono più collegati all’inflazione attesa o alle mosse della Fed.

Le prospettive ottimistiche di un recupero dei profitti per le società quotate, in concomitanza con un atteso ribasso dei tassi e un soft landing dell’economia, alla luce di quello che sta accadendo al settore bancario e al meccanismo di trasformazione del credito, appare sempre più improbabile.

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Foto di copertina: Joshua Woroniecki per Unsplash.com


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